A luglio del 2020 è nata la mia azienda e a luglio del 2023 ho deciso di lasciarla andare.
Letteralmente eh.
Ci ho messo tre anni per entrare nell’ottica del titolare d’azienda, è stato un processo lungo, naturale e spontaneo ma lungo.
Ho sempre pensato che il mio progetto dovesse assomigliarmi, essere un’estensione esatta della mia personalità, dei miei gusti e della mia identità.
Mi sbagliavo!
Ho capito a mie spese quanto una visione personale e non aziendale allontanasse il mio progetto da una naturale evoluzione di crescita e sviluppo.
Qualche giorno fa parlando con una cliente mi sono trovata a porle questa domanda: vuoi essere artigiana o imprenditrice?
Nel mio caso, non troppi mesi fa, mi ero posta la stessa domanda con termini diversi ma con lo stesso significato. Mi sono posta questa domanda quando già avevo iniziato ad accantonare tasse da pagare. Inutile che ti dica quale è stata la mia scelta ma doveroso dirti che il primo passaggio che ho dovuto valutare ed accettare è stato la delega.
Fino a quel momento qualsiasi persona entrasse in azione nel mio progetto credevo dovesse essere una mia copia per azioni e pensieri, entusiasmo ed obiettivi.
Tutto doveva passare al mio vaglio e doveva somigliarmi.
Un gigantesco errore.
Quando ho iniziato a fidarmi ed affidarmi, non solo ho nutrito la mia attività di contenuti non solo miei, ma ho anche arricchito i miei orizzonti di titolare d’azienda che senza una squadra non può muovere nessun passo.
Spesso mi trovo a ricordare nelle mie consulenze e nelle mie masterclass che bisogna lasciare che ognuno faccia il proprio lavoro, un concetto semplice ma spesso oscurato dall’idea di poter fare tutto da soli.
Io mi occupo di comunicazione visiva e il mio approccio è il più lontano che si possa immaginare dalle tendenze degli ultimi anni che hanno focalizzato la loro attenzione sulla crescita dei numeri.
Mi occupo di riconoscibilità, credibilità e identità.
Potenzialmente un marchio può non avere migliaia di follower, ma può comunque essere di ispirazione e riferimento nella sua nicchia d’azione.
Un po’ come succedeva al commercio prima maniera: un negozio un tempo era importante fosse di riferimento nel suo quartiere. La sua popolarità nel quartiere, quando diveniva forte e consolidata, gli dava la possibilità di accogliere chi arrivava dai quartieri limitrofi e crescere sempre di più.
Impensabile che un’azienda abbia successo e cresca se non è progettata per questo, il rischio di implosione è altissimo.
Crescere molto e non essere strutturati per farlo è tanto rischioso quanto rimanere immobili. Ecco perché le prime domande nella mia ormai famosa intervista di inizio consulenza sono: che lavoro fai? Quali sono i tuoi obiettivi?
Domande apparentemente banali, ma basilari per tracciare la strada di un’attività.
La velocità con cui il commercio si muove negli ultimi anni, le nuove consapevolezze del cliente e i recenti strumenti di vendita mettono chi ha mire imprenditoriali di fronte a scelte ben precise, impongono una chiarezza progettuale.
Ed ecco di cosa avevo bisogno anch’io, di chiarezza e di fiducia verso qualcuno che non fossi solo io.
Ed ecco che oggi il mio progetto ha dei nomi e cognomi che non sono solo il mio, cresce con idee che non sono solo le mie e si presenta ai clienti con una struttura non necessariamente legata solo alla mia persona.
Una buona idea senza un buon progetto di realizzazione è solo una delle tante buone idee, una buona idea ha valore non per chi la pensa ma per chi decide di realizzarla nel migliore dei modi!